Ancor prima di iniziare la nostra narrazione, possiamo subito fare un “mea culpa” e ammettere che il titolo di questo articolo è alquanto generico. Già perché il maniero goriziano (di cui vi abbiamo già parlato un po’ di tempo fa) non ha subito certo un solo assedio. Ricorre proprio quest’anno il centenario della presa di Gorizia – per la precisione il 9 agosto – durante la Prima Guerra mondiale, in quel fatidico 1916 in cui la città veniva strappata agli allora nemici austriaci e restituita, non senza enormi sacrifici, all’Italia (a tal proposito, se volete approfondire l’argomento, è in corso una mostra proprio nelle sale del castello).
Fatta questa debita premessa, l’assedio di cui vi vogliamo parlare risale al XIV secolo. Lotte per il potere, sgarri politici, manifestazioni di forza, manovre militari e molto altro non sono prerogativa dei romanzi d’azione. Come abbiamo già più volte avuto occasione di vedere, anche la nostra regione vanta episodi storici degni della penna di un fervido romanziere.
I protagonisti della nostra vicenda sono alcuni dei nobili più influenti dell’epoca e il patriarca di Aquileia, ma non uno qualsiasi: Bertrando di Saint Geniès ovvero uno degli uomini che maggiormente hanno segnato la nostra storia o, come meglio lo definì il Leicht “una delle più grandi e belle figure dei patriarchi aquileiesi”.
Bertrando venne eletto patriarca nel luglio del 1334 quando ormai era un uomo anziano (era infatti nato nel 1258). Molto colto, era dottore in legge e insegnava presso l’Università di Tolosa. Era anche cappellano papale e uditore di Rota nonché decano della chiesa di Angoulême. Il patriarcato di Aquileia non viveva, in quegli anni, un periodo positivo della sua storia. Bertrando venne scelto proprio per le sue doti. Il suo compito sarebbe stato quello di restituire l’antico splendore al patriarcato, arginando le ingerenze nobiliari, sempre più insistenti. In breve egli avrebbe dovuto occuparsi della ricostruzione territoriale ed economica dello stato, attuare riforme istituzionali ma anche ecclesiastiche.
Già all’indomani del suo trasferimento, Bertrando dovette vedersela con Rizzardo da Camino il quale aveva occupato il castello di Cavolano sul Livenza e assaltato Sacile. Bertrando non si limitò a recuperare il castello ma anche tutto il Cadore. Abile politico, seppe allearsi con le persone più adatte. Strinse infatti accordi con la repubblica veneta ma soprattutto con il duca d’Austria e con Carlo di Moravia, il futuro imperatore.
Anche la contea di Gorizia attraversava un periodo di particolare debolezza politica. Nel marzo del 1338 morì prematuramente il conte Giovanni Enrico II. Il suo posto fu preso da Alberto IV assieme ai fratelli Enrico e Maniardo, con il placet del patriarca stesso che concesse loro l’investitura ufficiale il 25 febbraio 1339. Nel luglio seguente poi, vennero stipulati a Udine dei patti nei quali le due parti si impegnavano a prestarsi vicendevolmente aiuto in Friuli, Carsia e Istria. Tali patti sarebbero durati a malapena un anno. Come ci narra il patriarca Bertrando stesso
“il conte di Gorizia, aiutato dalla potenza dei conti di Veglia, assalì il fedele nostro e della chiesa di Aquileia Giorgio di Duino; e dopo fatte tregue fra loro, il conte stesso assalì in forze la terra nostra; dal canto nostro noi ci mettemmo sulle difese, ed essendo venuti in aiuto nostro e della chiesa Carlo (di Moravia) e Giovanni (del Tirolo, figlio di Giovanni re di Boemia) con sufficiente moltitudine di cavalieri e di fanti, con loro e colle nostre truppe movemmo contro i nemici; e prima di tutto ci dirigemmo contro Cormons e vi stemmo dieci giorni, e fatto là quel danno che si poteva, alla vigilia di Natale (del 1340) movemmo il campo contro Gorizia e celebrammo la solennità della sacratissima notte della nascita del Salvatore e le tre Messe di quel giorno, cioè la prima dell’alba, all’aurora e la terza solenne, nei campi davanti Gorizia, assistendovi i principi sopraddetti, i conti di Ortemburg con moltitudine copiosa di militi loro e nostri e di altri nobili. Partiti di là il giorno di San Giovanni Evangelista (27 dicembre) dopo dato il guasto, andammo a Belgrdo e tenemmo assediato Belgrado e Latisana sino all’indomani dell’Epifania (7 gennaio 1341). Allora il conte chiese tregua per un anno ed a sua domanda la concedemmo […]”
Quindi Bertrando si accampò effettivamente ai piedi del castello di Gorizia e ivi celebrò messa davanti ad alcuni dei nobili più potenti di quei luoghi ma non vi fu, come forse ci si poteva aspettare, uno scontro armato, un vero e proprio assedio. Anzi, Bertrando e gli altri nobili soggiornarono davvero poco a Gorizia, preferendo poi dirigersi, come riferisce il patriarca stesso, verso Belgrado e Latisana. Come va interpretata una tale strategia? E perché il conte di Gorizia, nonostante non avesse subito nemmeno un danno, chiese – ed ottenne – un tregua? Le azioni del patriarca Bertrando furono meramente rappresentative, manifestazioni di propaganda e di forza atte a ribadire che chi osava portare guerra al patriarca, di fatto la portava alla Chiesa stessa e ciò era sacrilego.
Quello dell’assedio di Gorizia è solo uno dei numerosi episodi che videro coinvolto Bertrando e i conti Goriziani: pochi anni dopo, nel 1344, le ostilità si riaccesero e, a fasi alterne, si trascinarono fino al 1350 quando i conti Mainardo ed Enrico di Gorizia, alleatisi due anni prima con il comune di Cividale, in combutta con altri nobili (tra cui Gualtiero Vertoldo IV ed Enrico di Spilimbergo, i Villalta e Federico da Portis) ordirono una congiura per assassinare il novantaduenne Betrando. Ma questa è un’altra storia.