La vita nel castello di Gorizia: storie di amore e avidità

Oggi vi faremo conoscere nell’ “intimo” il castello di Gorizia: non sarà una semplice visita, ma vi racconteremo come si svolgeva la vita all’interno del castello, gli omicidi e gli amori (veri o leggendari che siano!) che qui si consumarono.

Iniziamo il nostro viaggio nel passato!

Per raggiungere la fortezza, si sale per Borgo Castello fino a costeggiare le dimore delle antiche famiglie favorite dei Conti di Gorizia (quelle cioè che abitavano vicino al maniero e godevano della protezione all’interno delle mura): sulla destra si notano le ampie arcate di Casa Rassauer, eretta nel 1475 da Wolfgang Rassauer, mentre a sinistra le dimore cinquecentesche dei Dornberg e Tasso, oggi sedi dei Musei Provinciali dedicati alla Grande Guerra, alla moda ed ai reperti archeologici.

Procedendo verso il castello, si passa davanti alla trecentesca Chiesa di S. Spirito dalle tipiche fattezze tardo gotiche.

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Eccoci al portone d’ingresso del maniero, sovrastato dal Leone di S. Marco, simbolo del dominio (breve) di Venezia sui territori del Goriziano. Da questa altezza è possibile ammirare il paesaggio circostante, caratterizzato da distese di verdi colline.

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E’ documentata l’esistenza di un luogo fortificato già nell’XI secolo, con un susseguirsi, nel corso dei secoli, di modifiche che gli hanno conferito l’aspetto che grossomodo ha tutt’oggi.

Il castello fu residenza dei Conti di Gorizia, il cui casato ebbe origine con Mainardo I (1102- ca. 1142) e fu uno dei più potenti feudatari dell’impero teutonico. Il casato infatti possedeva grandi feudi in Istria, Tirolo, Carinzia, Stiria e Carniola, e la loro influenza era garantita dai numerosi legami parentali con altre potenti famiglie sparse in Europa (Austria, Svevia, Ungheria ecc.). I Conti di Gorizia erano visti dal popolo come spregiudicati, avidi e brutali e per questo, attorno a loro e al loro castello, nacquero diverse leggende come quella della Contessa Caterina.

Costei era una donna avidissima e sanguinaria che, dopo la morte del marito, rimase a vivere nel castello sola con i suoi sette alani e il fedele servitore Giuseppe. La Contessa possedeva un ricco tesoro che custodiva gelosamente in uno scrigno di ferro nascosto nei sotterranei del castello. Una notte bussò un nobile cavaliere proveniente dalla Germania chiedendo ospitalità nell’attesa delle prime ore del giorno per poter riprendere il viaggio e adempiere l’ordine ricevuto dall’Imperatore di consegnare al Patriarca di Aquileia un sacchetto di monete d’oro. La bramosa Caterina, intenzionata a sottrargli l’oro, acconsentì e durante la notte, aiutata dal suo servitore, uccise il cavaliere. Tanti altri subirono la sua stessa sorte, finché una notte la morte stessa fece visita alla Contessa che fu trovata priva di vita dal suo servitore, il quale non le diede nemmeno degna sepoltura e la lasciò lì nelle segrete del castello, in attesa che il diavolo se la portasse via. Non si seppe più nulla né di Giuseppe né del tesoro.

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Chissà, forse è ancora nascosto nei sotterranei del castello!!!!

Fin dal XV secolo, il popolo sostiene che nelle notti di luna piena, i fantasmi della contessa e dei sui cani ritornano dall’oltretomba e si aggirano per il castello temendo che qualcuno voglia rubare il tesoro.

Un’altra storia racconta della gelosia e della bramosia dei membri di questo casato; in questo caso però non si tratta di una storia di omicidi ma di una storia d’amore, dal lieto fine.

Nel 1303, abitava presso il castello il Conte Alberto II, padre di tre figli maschi e di una bellissima figlia di nome Ermenegilda. Per non disperdere il patrimonio feudale, la fanciulla venne costretta a farsi monaca e inviata in un convento dell’Alto Adige. A scortarla fu il cavaliere Balthasar von Welsberg, ricco feudatario con possedimenti in Stiria. Durante il viaggio i due si innamorarono perdutamente l’uno dell’altra e decisero di giurarsi eterno amore. Così si fermarono al castello di Sillian, dove fra Giocondo, priore della collegiata dei Santi Candido e Corbiniano di San Candido, li sposò. Venuti a conoscenza del matrimonio, i fratelli di Ermenegilda, preoccupati di perdere parte del patrimonio, decisero di muovere battaglia contro il cavaliere Balthasar ma, grazie alla mediazione di fra Giocondo, lo scontro non avvenne e i fratelli accettarono di riconoscere il matrimonio della sorella.

Curiosa questa famiglia non vi sembra?

Pensate che, secondo la tradizione, questa nobile famiglia di origine germanica avrebbe imposto nella contea di Gorizia lo ius primae noctis, ossia il diritto del Conte di trascorrere la prima notte di nozze con la sposa dei suoi servi o sudditi. Tale pratica, secondo gli studiosi, sarebbe infondata, anche se molti antropologi ritengono possa avere un nesso con alcuni riti pagani secondo i quali la verginità della sposa era un sacrificio offerto alla fertilità della terra.

Vista la mania di grandezza di questa nobile famiglia e il continuo desiderio di ampliare i possedimenti attraverso convenienti matrimoni, presso il castello dovevano aver luogo numerosi e ricorrenti banchetti, cerimonie e riunioni politiche, e di conseguenza le cucine e le sale da pranzo dovevano essere molto attive e ben attrezzate per soddisfare i numerosi ospiti.

E infatti il percorso di visita inizia proprio con la Sala da pranzo e la Cucina, dove il Conte e i suoi invitati sedevano sui tipici sedili a trespolo, impreziositi dai decori ad intaglio, davanti alla tavola apparecchiata con bicchieri (o coppe), brocche, piatti in peltro, scodelle, cucchiai, coltelli, piccoli spiedi per infilzare il cibo (l’uso della forchetta venne accettata sul finire del XV secolo), taglieri e tovaglioli, in attesa che i servitori giungessero dalla cucina con le pietanze.

Gli alimenti cardine nel medioevo erano il maiale e i cereali (il frumento per i ceti più elevati!).

All’interno della cucina non poteva mancare il focolare, sul quale era posto un calderone. Le braci venivano tolte dal fuoco e disposte a scaldare i fornelli, costituiti da loculi aperti sul davanti e dotati di un foro superiore di diverse dimensioni a seconda della grandezza della pentola che veniva posta sopra. I recipienti per la cottura potevano essere in terracotta invetriata, ferro o pietra ollare, a forma chiusa e con fondo convesso per la cottura di cibi liquidi, a forma aperta con il fondo piatto per la cottura dei cibi asciutti.

Se vi concentrate, potete sentire i rumori delle posate, dei vini versati nei bicchieri, le chiacchiere tra il Conte e i suoi ospiti, il via vai dei servitori, ma anche l’odore delle braci e delle carni che dalla cucina giungevano alla sala da pranzo!!!

Dalla cucina si attraversa un porticato, caratterizzato dalla presenza di un caminetto di XV secolo sulla destra, che si affaccia sulla Corte dei Lanzi, dove sono ancora visibili le fondamenta del mastio originale.

Si procede poi verso la Sala dei Cavalieri, un tempo impiegata come prigione e oggi sede di una ricca collezione di riproduzioni filologiche di armi bianche appartenenti all’epoca tra il XIII e il XVI secolo.

Salendo le scale si giunge al piano nobile dove si trova il Salone degli Stati Provinciali, che un tempo ospitava le riunioni governative della città.

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Da qui, la Loggia degli Stemmi conduce ad altre stanze arredate con mobili e quadri antichi.

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Questi ambienti si collegano alla Sala della Musica e alla sala di rappresentanza del castello, la Sala del Conte, sede di conferenze ed incontri.

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Una scalinata in legno permette di raggiungere il secondo piano, dove ci si immerge nell’atmosfera mistica della Cappella di San Bartolomeo. A decorare l’ambiente sacro sono delle tele di scuola veneta e frammenti di affreschi cinquecenteschi.

La visita si conclude nella Sala Didattica, dove sono stati allestiti plastici e pannelli esplicativi che raccontano la storia della Contea di Gorizia tra l’XI e il XVI secolo (cioè fino alla morte dell’ultimo Conte Leonardo), e nel Cammino di Ronda che consente allo sguardo dello spettatore di dominare sulla città di Gorizia e sui territori circostanti.

Vogliamo concludere ricordando che le suggestive atmosfere di questo castello hanno fatto da scenario in alcuni episodi della terza e ultima serie televisiva I Borgia.

2 pensieri su “La vita nel castello di Gorizia: storie di amore e avidità

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