Il Santuario di Madonna di Strada a Fanna (Pn)

Quante volte ci capita di percorrere e ripercorrere strade abitualmente note tanto da essere capaci di affrontarle addirittura “ad occhi chiusi”?! Siamo proprio sicuri di conoscerle in ogni minimo dettaglio? E se invece provassimo ad aprire gli occhi e ad esempio iniziassimo a indagare meglio quei luoghi?

Uscendo dal centro di Maniago (Pn) e percorrendo la strada che porta a Spilimbergo, in prossimità dell’incrocio che conduce al centro di Fanna, sulla destra compare un’indicazione bianca su fondo marrone: “Santuario”. Se si è sopra pensiero di certo non è facile notarla, ma se si decide di seguire questa segnalazione ci si renderà conto che si sta per entrare in un luogo che ci sorprenderà.

Dopo aver percorso qualche centinaio di metri in mezzo al verde di un piccolo bosco, ci apparirà d’un tratto una:

Biela glisiuta blancja e silenziôsa
sôra chê riba, cujeta,
crufulada tra dut chél vêrt,
tu pâr ‘na biela fada
vignuda ju dal céil, colour di rôsa.

Bella chiesetta bianca e silenziosa
sopra quella salita, quieta,
accovacciata tra tutto quel verde,
sembri una bella fata,
scesa giù dal cielo, di colore rosa.

E non si può non condividere la sensazione descritta dal poeta e pittore Vittorio Cadel (1884-1917) che proprio alla piccola cittadina di Fanna deve i suoi natali.

Ciò che colpisce di questo luogo, pervaso da un’aura di armonia e serenità, è la silenziosa presenza di questo edificio incastonato nel verde.

Scalinata per accedere al Santuario

Vi si accede da una piccola rampa di scale in pietra che ci porta direttamente a tu per tu con l’imponente facciata tripartita da un ordine gigante di paraste doriche, che svoltano sul fianco e che sorreggono un frontone triangolare.

Facciata Santuario

Attraversato l’insolito portico scandito da tre aperture, stilisticamente vicino a molte chiesette “votive” friulane, si accede all’aula unica del Santuario. In continuità con l’esterno, anche l’interno è caratterizzato dalla presenza dell’ordine gigante di paraste che in questo caso sorreggono una cornice dalla quale parte una copertura lunettata, ripresa anche nelle quattro volte dell’abside.

Interno Santuario

La strana luce presente in quel momento nell’edificio, ha sì impedito di immortalare e far risaltare l’architettura entro la quale nel XVIII secolo è stato inserito l’affresco del coro raffigurante l’Annunciazione, ma ha illuminato e fatto risplendere l’effigie raffigurante la Madonna con in braccio il Bambino, attribuito allo scultore Giovanni Antonio Pilacorte e databile tra la fine del XV e i primi anni del XVI secolo.

Scultura Pilacorte  Madonna con Bambino (dett.)

Se ci si avvicina all’opera si noterà la presenza di un cartiglio in mano a Gesù, con incise le parole “Ego sum via” (Giovanni, 14,6) quasi a sottolineare la centralità e l’importanza della posizione di questo Santuario, che ha ottenuto l’appellativo di “Madonna di Strada”. Infatti l’edificio, issato sulla sponda sinistra del torrente Còlvera, è ubicato sull’antico tracciato che collegava – e collega ancora oggi – Polcenigo a Travesio, lungo una delle principali direttrici che dalla Pedemontana si collega con i guadi sul Meduna.

Il più antico documento in cui viene nominata la chiesa risale al 12 gennaio 981: a questa data l’imperatore Ottone II di Sassonia conferma al patriarca di Aquileia Rodoaldo i possessi del Patriarcato tra i quali, nella zona di Maniago, “ecclesiam sancte Marie que vocatur Mercadello”. Sia che si voglia attribuirgli il significato di “piccolo mercato” (marcadellus) – luogo di scambi di prodotti che provenivano dai paesi segnati da questa via di collegamento – sia che ci si rifaccia al sostantivo celtico marca che significava “cavallo” – mezzo di controllo di un ipotetico custode della chiesetta che doveva proteggere questa posizione sul guado – il nostro Santuario sembra essere proprio quella antica “ecclesia” nominata dall’imperatore Ottone II.

I numerosi ampliamenti e rimaneggiamenti hanno fatto perdere del tutto le tracce di quel vetusto passato, anche se sembra che il nuovo edificio sia nato proprio da quelle primitive basi: al 1356, per opera di Giovanni Malagrini di Fanna, è possibile far risalire le mura principali, e in particolar modo quelle della zona absidale.

I secoli successivi non furono certo sereni per l’edificio. Tra il 1642 e il 1643 il pievano Domenico Segalla attua un piano di modifiche che guardassero al santuario di Loreto, ma è nel XVIII secolo che il santuario ricevette il maggior numero di interventi di ristrutturazione – compresa la variazione di intitolazione che divenne, per poco tempo, Maria del Carmine – tanto che solo l’area presbiteriale sembra aver custodito i caratteri originari. Nel 1733 iniziarono anche i lavori di edificazione del campanile, della sacrestia e del nuovo altare.

Campanile e sacrestia

La chiesa, come la vediamo noi oggi, è frutto degli interventi degli anni 1886-1899 che le hanno dato una chiara impronta neoclassica. Le decorazioni del soffitto, raffiguranti l’Incoronazione della Vergine con angeli, sono state realizzate dal già citato pittore e poeta Vittorio Cadel nel 1914.

Affreschi di Vittorio Cadel

Una volta conclusa la nostra visita, non potremo certo fare a meno notare il prato che culla e fa da cornice a questo luogo,

Prato davanti al santuario

e allora, magari seduti su una delle panchine in pietra lì presenti, ci faremo ancora accompagnare dalle parole di Cadel:

E adasi a lu ripét dentri li’ fueis
l’aria ch’a ven dal Colvara, lusint
jù pa la verda calma dai Magreis.
Dal cjampanili intant su la tô schena,
sui flours pa la taviela suridint
a plouf la vous alegra a gola plena.

E adesso lo ripete dentro le foglie
l’aria che viene dal Colvera, lucendo
giù per la verde calma dei Magredi.
Dal campanile intanto sulla tua schiena,
sui fiori per la campagna sorridente
piove la voce allegra a gola piena.

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