Un giorno nel Friuli Venezia Giulia del XVIII secolo: Pordenone

Non c’è probabilmente nessun cittadino italiano che abiti in un luogo in cui le vestigia del passato non siano ancora ben presenti, sotto forma di monumenti, palazzi, strade e vicoletti. Il passato è, in Italia come in Friuli Venezia Giulia, sempre sotto i nostri occhi, tanto che spesso non ci facciamo più caso. Ma siamo sicuri che le nostre città, per quanto ancora ricche di testimonianze dei secoli scorsi, dovessero apparire proprio così ai nostri predecessori?
Se ci fermiamo a riflettere un attimo, siamo tutti concordi nell’ammettere che vi siano stati dei cambiamenti anche piuttosto rilevanti, specie nell’ultimo secolo, nel paesaggio urbano. Il difficile diventa stabilire l’entità di questo mutamento, che non riguarda solo l’aspetto esteriore dei centri abitati ma anche il modo di vivere.

Se potessimo trascorrere un giorno nella nostra città di qualche secolo fa, la riconosceremmo?

Non avendo ancora trovato la macchina di H.G. Wells ci toccherà utilizzare un altro dispositivo, forse anche più potente, per viaggiare indietro nel tempo: la nostra immaginazione. Ma sarà una ricostruzione guidata dalle fonti storiche e artistiche, non un volo sfrenato di fantasia.

La città che abbiamo scelto per il nostro primo giorno in viaggio per il Friuli è la Pordenone del XVIII secolo.

Che voi decidiate di approdare all’inizio del Settecento o verso la fine non ha un’importanza cruciale: naturalmente in un secolo le cose sono molto cambiate ma non alla velocità cui siamo abituati noi, nati nel XX secolo.

La città che vi trovereste davanti, una volta giunti nel passato, sarebbe molto diversa da quella attuale, com’è ovvio aspettarsi.

La prima sostanziale differenza che noteremmo sarebbero probabilmente le mura. Come tutte le città sviluppatesi in epoca medievale – Pordenone è un insediamento piuttosto recente rispetto ad altre realtà friulane e la sua prima attestazione ufficiale in un documento risale solo al 1204 – anche la nostra aveva una cinta muraria che ne racchiudeva il cuore politico e amministrativo, ovvero l’attuale centro storico.

Il nome latino stesso, Portus Naonis, è dovuto al ruolo centrale che il placido fiume ha sempre avuto nella vita cittadina. Una delle due porte principali della città era proprio quella che si affacciava sul fiume. L’altra, esattamente dalla parte opposta, era detta “Porta Trevigiana”, proprio a causa della direttrice in cui si trovava, ovvero la strada che portava verso Treviso.

Altri luoghi significativi lungo la cinta muraria erano la porta presso il ponte delle monache, situato nell’attuale zona tra il teatro Verdi e la Chiesa del Cristo e, infine, il Portello dei Cappuccini.

Che fare quindi in questa giornata così speciale? Il primo impulso di tutti sarebbe, credo, quello di esplorare un po’ il territorio. Non avremmo molto da camminare poiché la maggior parte delle aree che circondano l’attuale centro storico e che oggi sono densamente popolate, all’epoca erano grandi distese di campi o boschi.

Molti dei palazzi che ancora oggi possiamo ammirare in Contrada Maggiore (Corso Vittorio Emanuele II) erano già presenti, forse le decorazioni di alcuni erano ancora visibili e oggi sono andate perdute, ma gli affreschi di altri palazzi risultavano ancora coperti da strati di intonaco oggi per fortuna rimossi.

Cuore religioso della città, sorge accanto al Palazzo del Municipio. Durante il Settecento venne interessato da consistenti rifacimenti interni.

Duomo di San Marco. Cuore religioso della città, sorge accanto al Palazzo del Municipio. Durante il Settecento venne interessato da consistenti rifacimenti interni.

Chi governa?

Pordenone, durante questo periodo, dipende da Venezia ed è politicamente amministrata da un Provveditore-Capitano che ha sede nel castello (oggi non visitabile a causa della scelta di destinarlo a carcere), da un Podestà eletto annualmente e da varie altri organismi, il più importante dei quali era di certo il Consiglio, un organo deliberativo e amministrativo.

Se il nostro ipotetico viaggio si svolgesse un 23 aprile, avremmo di certo occasione di imbatterci in un bel po’ di trambusto in città. Ogni anno infatti, in quella data, il podestà uscente, restituiva il simbolo del suo potere, ovvero la “bacchetta”, al capitano. Nello stesso giorno anche il Consiglio veniva rinnovato con la sostituzione dei membri decaduti e il giuramento dei nuovi membri di fronte al capitano.

Di cosa si vive?

Se il Cinquecento è stato il secolo d’oro della città dal punto di vista soprattutto artistico e culturale, il Settecento lo è per l’artigianato e l’economia. Specie l’industria della carta, già presente sul territorio grazie all’abbondanza di acqua, fiorì in maniera piuttosto decisa. Solo Treviso, al censimento industriale del 1725, risulta davanti a Pordenone in questo settore.

Anche la lavorazione di ferro e rame era molto importante, così come quella della seta. Un famoso impianto, che diede lavoro a oltre cento persone ma che scomparve molto presto, era quello di Pietro Bassani e si trovava all’incirca di fronte all’attuale chiesa di San Giorgio.

Il censimento veneziano del 1766 rileva un dato curioso: Pordenone è l’unica città in cui “asrtisti, manifatturieri, lavoranti e garzoni” sono più numerosi dei contadini.

Allora come oggi, il mercoledì e il sabato erano giorni di mercato anche se quello del sabato era più grande e importante. E sempre il sabato passava la diligenza postale e il traghetto per Venezia.

Dove ci si trovava?

 Se pensate che oggi ci siano tanti bar, considerate che nel XIX secolo si contavano nella sola Pordenone 187 osterie. Nel XVIII secolo erano molte meno, ma, in ogni caso, l’osteria rappresenta il luogo privilegiato in cui ritrovarsi, ovviamente se non si è nobili. Vige infatti in città una forte gerarchia che si manifesta soprattutto in occasione di feste, solennità o processioni religiose. Se ogni classe sociale aveva il suo luogo specifico per svagarsi, il grosso dei contatti avveniva però nelle strade e nei vicoletti che, allora come oggi, serpeggiano tra i palazzi.

Per i “popolani” (la maggior parte di noi farebbe probabilmente parte di questa categoria) vi erano anche le botteghe del caffè o le bettole che non erano necessariamente locali veri e propri ma poteva trattarsi anche di chioschi, simili a quelli che si utilizzano anche oggi nelle sagre paesane. Di questo abbiamo una testimonianza diretta, quella di Gian Battista Pomo, nobile pordenonese che “per passatempo” compilò un diario in cui commentava fatti più o meno salienti che avvenivano in città:

Adì 5 maggio 1760. La notte passata, sul prato de’ Rev. padri cappuccini di questa città, ove vi erano preparate alquante boteghe e osterie per la fiera di S. Gottardo […]” (Comentari Urbani, 407)

Cosa si faceva nel tempo libero?

Il concetto di tempo libero che abbiamo oggi è assai lontano da quello dei nostri predecessori. Le attività per trascorrere piacevoli momenti e svagarsi erano molto semplici. Il mondo dei nobili è, come sempre, diverso da quello della maggior parte delle persone. Considerando le attività più in voga tra tutti gli strati della popolazione, vanno certamente menzionate le carte. Molti dei giochi allora praticati sono sopravvissuti come, ad esempio, il Tressette, Bestia, Briscola o il Picchetto, molto in voga nei casini dei nobili.

A proposito dei nobili, per loro era frequente ritirarsi appunto nei propri casini che non sono, come si può pensare, case chiuse ma assomigliano piuttosto a dei club, di certo molto esclusivi. Ogni casino aveva un proprio regolamento e sebbene potesse capitare che vi si svolgesse occasionalmente qualche incontro galante, per lo più si discorreva, si giocava a carte o a dadi e si ascoltava della musica.

Anche le bocce erano un gioco molto praticato, così come il pallone. Il gioco del pallone veniva praticato in Piazza della Motta che veniva appositamente allestita. Non dobbiamo immaginarci una sorta di partita di calcio però: si giocava in 8, 4 per squadra, e ci si lanciava, con un bracciale di legno, un pesantissimo pallone in cuoio.

Il primo teatro di Pordenone venne costruito solo nel secolo seguente (1831), ciò nondimeno l’attività teatrale era molto apprezzata e diffusa, anche tra i nobili che a volte si cimentavano come attori. I luoghi deputati a queste rappresentazioni profane – quelle sacre meritano un discorso a parte – erano la sala dove solitamente si riuniva il Consiglio o la piazza del Castello. Il periodo dell’anno più ricco di rappresentazioni era il Carnevale.

Teatro Concordia o Sociale, inaugurato nel 1831

Teatro Concordia o Sociale, inaugurato nel 1831

La nostra breve ma intensa passeggiata per i vicoli del centro – alcuni li abbiamo riconosciuti, altre aree sono state completamente stravolte nei secoli “successivi” – ci ha comprensibilmente messo fame.

Che cosa si mangiava?

Da questo punto di vista non dovremmo avere troppi problemi: i piatti della tradizione sono quelli cui siamo abituati e che consumiamo ancora oggi con una certa frequenza anche se gli ingredienti di base e i loro dosaggi sono di certo mutati, come i gusti.

Molto presenti nelle tavole, specie della nobiltà, sono le carni che vengono preparate con salse e condimenti a base di erbe e sapori. Molto frequenti sono le cosiddette carni pasticciate.

Sulle tavole pordenonesi del Settecento non mancano i legumi (serviti spesso sotto forma di zuppe), i formaggi e anche i dolci. Attenzione però se vi fermate in un’osteria a mangiare: quelle che allora venivano chiamate “torte” sono più simili ai nostri pasticci (di carne o verdure, ma non solo).

Tipica della tradizione pordenonese è la bondiola o saùc, un insaccato ripieno di carni, pezzetti di cotenne e nervetti.

Dimenticate gli standard igienici cui siamo abituati per la preparazione dei cibi nei locali pubblici. Forse il piatto che avete appena mangiato vi creerà qualche effetto collaterale ma, in fin dei conti, se davvero, in qualche modo assurdo, vi trovaste catapultati indietro di più o meno tre secoli, il mal di pancia non sarebbe probabilmente il vostro problema più grande.

 

Lascia un commento